Tribunale di Padova: per i contratti di conto corrente,stipulati prima dell'entrata in vigore della delibera CICR del 9 febbraio 2000, è necessario, per il periodo successivo, un nuovo contratto con clausola anatocistica espressamente pattuita
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Provvedimento:
Trib. Padova Sez. II, Sent., 14-09-2017, G.U., dr. L. Marani
Una recente pronuncia del Tribunale di Padova, Sez. II civ., sent., 14-09-2017, G.U., dr. L. Marani, pubblicata in www.leggiditaliaprofessionale.it, affronta alcuni temi di particolare interesse nell’ambito di un giudizio instaurato da una S.r.l. che lamentava, in ordine ad un rapporto di c/c , aperto in data 20.2.1992 ed ancora operativo, l'illegittimità degli interessi ed altri oneri applicati sulla base del contratto di apertura del c/c in mancanza di una rigorosa determinazione delle voci di debito, con conseguente applicazione dell'interesse legale ovvero di quello c.d. sostitutivo di cui all'art. 117 TUB.
L'attrice si doleva dell'applicazione di interessi anatocistici, in violazione dell'art. 1283 cod. civ., e deduceva l'applicazione di interessi usurari. L'attrice aveva pure lamentato l'applicazione di interessi anatocistici in violazione dell'art. 1283 cod. civ.
Da qui le richieste di cui all'atto di citazione comprendenti, tra le altre, quella di accertamento dell'illegittimità della prassi adottata dalla banca, della non debenza dei diversi oneri applicati, di declaratoria della fallacità del saldo di cui ai conto corrente e di condanna della convenuta al pagamento della somma di Euro 122.821.76.
La banca convenuta sosteneva la legittimità del l'applicazione degli interessi anatocistici per il periodo successivo al 30.6.2000, stante l'avvenuta comunicazione nella Gazzetta Ufficiale delle nuove regole in materia di capitalizzazione avvenuta, così come disposto dalla Del.CICR 9 febbraio 2000, mentre per il periodo pregresso, sosteneva la necessità di applicare la capitalizzazione annuale.
Riportiamo uno stralcio (il grassetto ed il corsivo sono a cura dello Studio) della sentenza relativo alla infondatezza dell’eccezione di prescrizione espressa dalla convenuta.
"Quanto all'eccezione di prescrizione formulata dalla convenuta, la stessa non merita seguito.
Va innanzitutto ricordato che in materia risulta tutt'ora attuale la distinzione effettuata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24418/2010 tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie.
La predetta distinzione è stata ribadita dalla Corte di Cassazione con la sentenza della sez. I 26 febbraio 2014, n. 4518, sentenza nella quale si è evidenziato che i versamenti eseguiti sul conto corrente in costanza di rapporto hanno normalmente funzione ripristinatoria della provvista e non determinano uno spostamento patrimoniale dal solvens all'accipiens e, poiché tale funzione corrisponde allo schema causale tipico del contratto, una diversa finalizzazione dei singoli versamenti, o di alcuni di essi, deve essere in concreto provata da parte di chi intende far percorrere la prescrizione dalle singole annotazioni delle poste illegittimamente addebitate.
Sulla banca, in quanto parte che eccepisce la prescrizione, incombono alcuni oneri.
Vi è innanzitutto un onere di allegazione, posto che l'istituto di credito non può limitarsi a generici rilievi quale quello del carattere solutorio di tutte le rimesse effettuate in epoca antecedente una certa data. Tale osservazione vale sia quando vi siano dei contratti di apertura di credito sia quando, indipendentemente dalla pattuizione per iscritto dei predetti contratti, risultino dagli atti di causa (ed in particolar modo dagli estratti conto) elementi comprovanti la concessione di un affidamento.
Vi è, quindi, un onere di prova, onere che la banca deve assolvere mediante la produzione dei contratti di pertura di credito (nonché degli estratti conto laddove non già dimessi dal correntista).
Sotto il profilo da ultimo evidenziato si verifica - atteso il disposto dell'art. 127, comma 2, TUB - un'asimmetria probatoria rispetto al correntista, posto che, mentre l'istituto di credito per poter invocare un effetto ad esso favorevole (in tal caso il carattere solutorio della rimessa con conseguente immediata decorrenza del termine prescrizionale) deve dimettere in giudizio il contratto dal quale risulti l'assenza di affidamento ovvero un fido di più ridotto importo rispetto a quello ritenuto dalla controparte, il correntista, invece, per poter provare il carattere ripristinatorio della rimessa con conseguente decorrenza del termine prescrizionale dalla chiusura del rapporto, può avvalersi anche di altri elementi.
Vengono in primo luogo in considerazione tutte quelle diciture, contenute negli estratti conto, che costituiscono un chiaro rimando all'esistenza di un'apertura di credito (si pensi alle spese per la gestione della pratica di fido ovvero alle variazioni unilaterali del tasso previsto per l'apertura di credito). Vengono in secondo luogo in considerazione quelle ipotesi nelle quali si verificano consistenti e durature scoperture del conto corrente non accompagnate da alcuna iniziativa della banca volta a sollecitare il rientro della correntista.
Le anzidette diciture rappresentano prova scritta dell'esistenza di un affidamento, con la specificazione che l'assenza di sottoscrizione negli estratti conto - in quanto elemento a vantaggio del cliente - rimane del tutto irrilevante.
Le scoperture di cui si è detto danno luogo a quella figura, del c.d. fido di fatto. Invero, in tal caso l'esistenza di un affidamento viene desunta dall'esistenza di alcuni indici fattuali chiaramente significativi, non ponendosi alcun problema - giusto quanto si è prima osservato in merito al carattere protettivo delle nullità previste dagli art. 117 e ss. TUB - all'utilizzo di una prova presuntiva, la quale si risolve, per l'appunto, in un vantaggio per il cliente.
L'anzidetto onere probatorio riguarda non solo l'esistenza di un affidamento, ma anche il suo ammontare, con la conseguenza che, in presenza di costanti saldi negativi del conto, il limite dell'affidamento - in mancanza della produzione di contratti di apertura di credito o comunque per il periodo non coperto dagli stessi - si identifica con la più elevata esposizione debitoria raggiunta dal correntista, con conseguente carattere ripristinatorio di tutte le rimesse effettuate sul conto corrente". (omissis).
Interessanti anche le argomentazioni, che si leggono in sentenza, in ordine alla non sufficienza della Delibera CICR del 2000 a legittimare la pratica anatocistica per il periodo successivo all'entrata in vigore della Del. CICR del 9 febbraio 2000, in mancanza di una pattuizione specifica della relativa clausola.
“Appare sul punto perfettamente esplicativo della situazione successiva all'entrata in vigore della predetta delibera quanto già osservato, tra i tanti, dal Tribunale di Ancona con la sentenza 18.11.2014 (est. Dott.ssa F. Ercolini). Si è, infatti, convincentemente fatto notare quanto segue:
"La delibera CICR in rassegna sia stata emanata in forza di quanto previsto all'art. 120 commi II e III TUB, cosi come modificati dal D.Lgs. n. 342 del 1999. In particolare al comma II di detta norma viene conferito al CICR il potere di stabilire "modalità e criteri per la produzione di interessi sugli :interessi maturati nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in: ogni caso che nelle operazioni in conto corrente sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori sia creditori". Il successivo comma III, oltre a prevedere che "Le clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi maturati, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della delibera di cui al comma II sono valide ed efficaci fino a tale data", attribuiva al CICR la facoltà di stabilire le modalità ed i tempi dell'adeguamento alle norme contenute nella delibera di cui al comma II delle clausole relative alla produzione di interessi sugli interessi, contenute nei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della medesima delibera. I commi II e III dell'art. 120 TUB, (così come modificato dall'art. 25 D.Lgs. n. 342 del 1999), hanno ricevuto attuazione con la delibera CICR 9 febbraio 2000. In particolare la previsione di cui al comma III, nella parte relativa all'adeguamento delle clausole anatocistiche stipulate anteriormente all'entrata in vigore della delibera CICR, è stata ripresa dall'art. 7 della delibera medesima che ha disposto che "Le condizioni applicate sulla base dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore della presente delibera devono essere adeguate alle disposizioni in questa contenute entro il 30 giugno 2000 e i relativi effetti si producono a decorrere dal successivo 1 luglio. Qualora le nuove condizioni contrattuali non comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, le banche e gli intermediari finanziari, entro il medesimo termine del 30 giugno 2000, possono provvedere all'adeguamento, in via generale, mediante pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. Di tali nuove condizioni deve essere fornita opportuna notizia per iscritto alla clientela alla prima occasione utile e, comunque, entro il 31 dicembre 2000. Nel caso in cui le nuove condizioni contrattuali comportino un peggioramento delle condizioni precedentemente applicate, esse devono essere approvate dalla clientela".
La delibera dunque, prevede un iter procedimentale che gli istituti di credito devono seguire per adeguare le "vecchie" clausole anatocistiche ai principi espressi dalla medesima delibera e prima ancora dall'art. 120 TUB e che prescinde, in ipotesi di condizioni non meno favorevoli per la clientela, dalla stipulazione di un nuovo accordo corrispondente ai principi di cui al comma II dell'art. 120 TUB.
Sennonché, il comma III dell' art. 120 TUB e stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta con sentenza 425 del 2000 per violazione dell'art. 76 della Costituzione.
La dichiarazione di incostituzionalità del comma III dell'art. 120 TUB ha comportato da un lato che le clausole anatocistiche antecedenti al venire in esistenza della delibera CICR conservassero il loro carattere illecito per contrasto con l'art. 1283 c.c., dall'altro il venir meno della norma di legge che legittimava il CICR a stabilire le modalità con cui tali clausole dovevano adeguarsi ai principi sanciti dal medesimo art. 120 TUB e dalla delibera medesima. Con la sentenza della Consulta viene stravolto il disegno del legislatore secondo il quale le vecchie clausole anatocistiche avrebbero dovuto essere salvate e produrre la loro efficacia fino alla data di entrata in vigore della delibera del CICR e dopo tale data, avrebbero dovuto essere adeguate secondo il meccanismo sopra descritto.
Sulla base di tati premesse, la sopravvivenza solo formale dell'art. 7 della delibera CICR 9 febbraio 2000 non può giustificare l'applicazione dello stesso atteso che:
1) non è possibile l'adeguamento di clausole invalide in quanto viziate da nullità per contrasto con norme imperative di legge;
2) è venuta meno la norma di legge che attribuiva al CICR la facoltà di disciplinare le modalità di adeguamento delle clausole anatocistiche ai principi espressi dall'art. 120 TUB e dalla delibera.
Normativa secondaria che derogava ad una fonte primaria, per cui era necessario che il Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio nell'adottarla fosse legittimato da una norma di legge. E' stato sostenuto, infatti (cfr: Tribunale di Nola del 20.12.2011, conforme anche Trib. Torino sent. 5.10.2007) che "demandando ad un alto di normazione secondaria (la delibera CICR) il potere di incidere sulla disciplina del'anatocismo, il D.Lgs. n. 342 del 1999 {che ha modificato l'art. 120 TUB} assumeva la natura di norma delegante e conferiva al regolamento una forza pari alla legge ordinaria; solo cosi era possibile che una fonte regolamentare potesse derogare alla normativa codicistica dell'anatocismo, che altrimenti, quale fonte sovraordinata, avrebbe prevalso. Ma ciò significava anche che la delibera CICR poteva derogare alla legge (in questa caso al codice civile) solo nei limiti in cui fosse stata emanata in conformità ed in esecuzione di una valida norma con forza primaria. A questo punto si deve richiamare il doppio contenuto dell'art. 25 o, meglio, la doppia delega da esso previsto: da un lato l'art. 25 (al comma due, divenuto il nuovo secondo comma dell'art. 120 del T.U bancario) conferiva alla delibera un potere sostanziale di disciplina di modalità e criteri per la produzione di interessi, che non poteva avere efficacia retroattiva, ai sensi dell'art. 11 preleggi; dall'altro, l'art. 25 (al comma tre) sanciva la validità delle vecchie clausole anatocistiche e disponeva che esse potessero mantenere efficacia anche per il futuro, ma a condizione che venissero adeguate alle nuove disposizioni. Il CICR era delegato a stabilire modalità e tempi dell'adeguamento. Mentre la delega "sostanziale", per il riordino della disciplina dell'anatocismo(comma due dell'art. 25) ha mantenuto vigenza, la delega per l'adeguamento delle vecchie clausole, contenuta nel comma tre dell'art. 25, e stata travolta dalla dichiarazione di incostituzionalità; ne consegue il venir meno di ogni potere, per la delibera CICR, di disciplinare l'ultrattivita delle norme anatocistiche e dunque l'impossibilita di introdurre modalità e tempi per l'adeguamento (previsto nella norma dichiarata incostituzionale)".
Conseguenza della pronuncia del giudice delle leggi poc'anzi richiamata è, in ultima analisi, che, in presenza di contratti stipulati prima dell'entrata in vigore della Del. CICR 9 febbraio 2000, la banca, per poter applicare legittimamente interessi anatocistici (per il periodo successivo all'entrata in vigore della predetta delibera), avrebbe dovuto far sottoscrivere alla correntista un nuovo contratto con clausola anatocistica specificamente approvata (o comunque avrebbe dovuto formalizzare al cliente l'accettazione espressa della capitalizzazione degli interessi alle condizioni di cui alla predetta delibera CICR) in quanto si trattava di variazione peggiorativa rispetto alla pregressa situazione nella quale gli interessi anatocistici erano tout court nulli, fatte salve le limitatissime esclusioni di cui all'art. 1283 cod. civ.” (omissis).
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Con riferimento a Tribunale Ancona, 18 Novembre 2014. Est. Francesca Ercolini, il provvedimento è stato pubblicato da www.ilcaso.it .
In senso contrario, cfr. App. Milano, Sez. I, 18 luglio 2016, n. 3012, di cui al seguente link : E' sufficiente la pubblicazione in G.U. per l'adeguamento alla delibera CICR del 2000 .