La Cassazione ritiene nullo il contratto derivato che non menzioni il mark to market ed i costi impliciti
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Fonte:
Corte di Cassazione
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Provvedimento:
Cass. civ., Sez. 1, Ord. n. 7368/2024
Con ordinanza n. 7368, pubblicata il 19/03/2024, la Sez 1 della Suprema Corte affronta uno dei temi più controversi nel dibattito degli ultimi decenni sugli swap. Il riferimento è ai costi cosiddetti impliciti (ossia costi che integrano, in buona sintesi, il margine di remunerazione dell’intermediario) ed alla conoscenza, da parte dell’investitore, dei predetti costi.
I Giudici di legittimità ritengono fondato il motivo di ricorso avverso la pronuncia della Corte di Appello "che aveva respinto il motivo di gravame con cui l’odierna ricorrente aveva lamentato che il Tribunale avesse mancato di indagare l’eccepita nullità del contratto per difetto di causa in astratto e per indeterminatezza dell'oggetto in conseguenza della mancata indicazione in contratto di alcuni elementi essenziali (gli stessi che si sono sopra indicati). Ha escluso, in sintesi, che il mark to market fosse un elemento essenziale del contratto e che la mancanza dello stesso ne determinasse la nullità per difetto di causa. Ha precisato che il valore negativo dello swap non par al momento della stipula, corrispondente a un valore di mercato (mark to market) negativo per il cliente a tale data, senza riconoscimento di un premio corrispondente (upfront), «non è affatto né illegale né idoneo a determinare una nullità per difetto di causa attesa che l'oggetto del contratto non è certo identificato nel fair value iniziale, ma è costituito dallo scambio di differenziali calcolati su un capitale nozionale di riferimento con un'alea che non è alterata nella stipulazione di un contratto IRS non par». Ha aggiunto che l’eventuale squilibrio iniziale del contratto deve essere bensì conosciuto dall’investitore, ma che «la mancata esplicitazione del fair value negativo per il cliente senza riconoscimento di un upfront non attiene al tema della validità del contratto sotto il profilo del difetto di causa o del difetto di esplicitazione»."
L'ordinanza in esame, dopo aver sottolineato che gli swap hanno un contenuto non eteroregolamentato e che non sono standardizzati, essendo "normalmente caratterizzati da un disallineamento tra il prezzo teorico che lo strumento finanziario ha sul mercato e il prezzo di negoziazione del prodotto finanziario", rimarca la circostanza che il rilievo dei costi impliciti non nasce dall’esigenza che lo swap, al momento della sua stipula, dia origine a prestazioni di contenuto equivalente, quanto piuttosto "dal fatto che l’occultamento del reale valore dello strumento finanziario è stato alternativamente considerato, nelle diverse prospettive ricostruttive che hanno trovato espressione in dottrina e in giurisprudenza, ora come un risultato non coerente con la causa del contratto, ora, come una condizione che rende indeterminabile l’oggetto di questo, ora come un inadempimento dell’intermediario agli obblighi informativi nei confronti dell’investitore: sicché la presenza dei detti costi potrebbe alternativamente rilevare sul piano genetico, determinando la nullità del contratto, oppure sulla dinamica attuativa del rapporto obbligatorio, traducendosi nella mancata osservanza, da parte dell’intermediario, dell’obbligo, posto dall’art. 23, lett. a), t.u.f., di «comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza per servire al meglio l’interesse del cliente»: con conseguente applicazione dell’apparato rimediale operante per il caso di inadempimento".
Circa il rimedio approntato dall'ordinamento al deficit informativo, l'ordinanza rileva che una risposta "è stata in tempi relativamente recenti fornita dalle Sezioni Unite dalle Sezioni Unite di questa Corte. Queste hanno precisato che, in tema di interest rate swap, occorre accertare, ai fini della validità del contratto, se si sia in presenza di un accordo tra intermediario ed investitore sulla misura dell'alea, calcolata secondo criteri scientificamente riconosciuti ed oggettivamente condivisi: accordo che investe il mark to market, ossia il costo, pari al valore effettivo del derivato ad una certa data, al quale una parte può anticipatamente chiudere tale contratto od un terzo estraneo all'operazione è disposto a subentrarvi, ma che deve estendersi agli scenari probabilistici e concernere la misura qualitativa e quantitativa della menzionata alea e dei costi, pur se impliciti, assumendo rilievo i parametri di calcolo delle obbligazioni pecuniarie nascenti dall'intesa, che sono determinati in funzione delle variazioni dei tassi di interesse nel tempo (così Cass. Sez. U. 12 maggio 2020, n. 8770)".
Peraltro, ricorda la Suprema Corte, "il richiamato principio non è affatto circoscritto all’area dei contratti derivati conclusi dagli intermediari con le pubbliche amministrazioni: in tal senso deve smentirsi l’opinione espressa, sul punto, dalla ricorrente".
L'ordinanza ribadisce che "Come è stato rilevato in altra occasione da questa Corte, la nullità che viene qui in discorso non è quella, virtuale (art. 1418, comma 1, c.c.), di cui si sono occupate in passato due ben note pronunce delle Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 19 dicembre 2007, nn. 26724 e 26725) per escludere che essa abbia a prospettarsi in caso di inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario; la nullità in esame è, invece, una nullità strutturale (art. 1418, comma 2, c.c.) inerente ad elementi essenziali del contratto (Cass. 10 agosto 2022, n. 24654, in motivazione, punto 5). In proposito, mette conto di rilevare che per la pronuncia delle Sezioni Unite del 2020 la nullità del contratto mancante delle richiamate indicazioni è una nullità per indeterminabilità dell’oggetto; le Sezioni Unite non escludono, tuttavia, che quella carenza ridondi anche sul piano della causa del contratto (cfr., segnatamente, oltre al punto 9.3, il punto 9.7 della sentenza, ove si esprime consenso nei confronti della pronuncia impugnata, la quale aveva precisato che il valore del derivato al momento della stipula costituiva elemento essenziale del contratto e integrativo della sua causa tipica: un'alea razionale e quindi misurabile, da esplicitare necessariamente ed indipendentemente dalla sua finalità di copertura ― hedging ― o speculativa). Nella giurisprudenza di legittimità si è del resto già rilevato, in una pronuncia successiva a quella delle Sezioni Unite, come indipendentemente dalla sua finalità di copertura o speculativa del contratto di swap, la preventiva conoscibilità, ai fini della formazione dell'accordo in ordine alla misura dell'alea, gli elementi ed i criteri utilizzati per la determinazione del mark to market rilevi proprio sul piano causale (Cass. 7 novembre 2022, n. 32705). Quel che conta, nella presente sede, è che il contratto per cui è lite non recasse menzione del mark to market e dei costi impliciti (pag. 13 della sentenza impugnata) e mancasse in conseguenza di esplicitare il fair value (e cioè il valore) negativo del derivato (ivi, pag. 14). La Corte di appello avrebbe dovuto considerare che le richiamate carenze erano incidenti sulla validità del contratto e tali da determinarne la nullità."
Per la Suprema Corte "Quanto disposto nell’art. 19 della dir. 2004/39/CE e nell’art. 33 della dir. 2006/73/CE esclude che la necessità di dare evidenza, nel contratto, al mark to market e ai costi impliciti ― necessità postulata dalle Sezioni Unite, e su cui ci si è in precedenza soffermati ― si ponga in conflitto con la disciplina euro-unitaria: le indicazioni relative a tali elementi sono piuttosto coerenti con la necessità di specificare i rischi associati all’investimento, le caratteristiche dello strumento finanziario e il prezzo che il cliente deve pagare in relazione allo strumento finanziario e ai servizi ad esso correlati. E del resto, pure la Consob, con la richiamata comunicazione n. 9019104 del 2 marzo 2009, si pone in linea di continuità con tali prescrizioni. Essa, infatti, nel definire i doveri di correttezza e trasparenza in sede di distribuzione di prodotti finanziari illiquidi, ha espressamente raccomandato agli intermediari «di effettuare la scomposizione (c.d. unbundling) delle diverse componenti che concorrono al complessivo esborso finanziario sostenuto dal cliente per l’assunzione della posizione nel prodotto illiquido, distinguendo fair value (con separata indicazione per l’eventuale componente derivativa) e costi ― anche a manifestazione differita ― che gravano, implicitamente o esplicitamente, sul cliente», chiarendo che a quest’ultimo deve essere «fornita indicazione del valore di smobilizzo dell’investimento nell’istante immediatamente successivo alla transazione, ipotizzando una situazione di invarianza delle condizioni di mercato»".