Il mark to market non è univoco perché il calcolo della sua misura dipende dal metodo utilizzato
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Fonte:
www.dirittobancario.it
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Con sentenza n. 9644 dell’11 maggio 2016 la Suprema Corte di Cassazione ha affrontato il ricorso presentato dalla Consob rispetto ad una sanzione emessa, ed annullata in sede d’appello, per manipolazione del mercato riconducibile alle dichiarazioni rese dal sanzionato rispetto all’ammontare del mark to market sulle posizioni in strumenti finanziari derivati detenute da una banca.
Per quanto qui maggiormente interessa, la Cassazione svolge ampie considerazioni sul concetto di mark to market, arrivando alla conclusione che questo debba essere considerato come frutto di una valutazione connessa al metodo di calcolo utilizzato, per ciò stesso opinabile. Di seguito si riprendono espressamente e per esteso le motivazioni della Corte sul punto.
Mark to market è un’espressione che designa — in larga approssimazione — un metodo di valutazione delle attività finanziarie, che si contrappone a quello storico o di acquisizione attualizzato mediante il ricorso a indici d’aggiornamento monetario. Esso consiste nell’attribuire a dette attività il valore che esse avrebbero in caso di rinegoziazione del contratto o di scioglimento del rapporto prima della sua scadenza naturale. Il mark to market è detto anche costo di sostituzione, perché corrisponde al prezzo, dettato dal mercato in un dato momento storico, che i terzi sarebbero disposti a sostenere per subentrare nel contratto stesso. Si legge in Cass. penale n. 47421/11 che il mark to market “non esprime affatto un valore concreto ed attuale, ma esclusivamente una proiezione finanziaria basata sul valore teorico di mercato in caso di risoluzione anticipata. Il valore del mark to market, infatti, è influenzato da una serie di fattori ed è quindi sistematicamente aggiustato in funzione dell’andamento dei mercati finanziari, dovendosi poi attrarre nell’ambito dei relativi parametri di determinazione anche l’up to front erogato e l’utile per la banca”.
La nozione di mark to market trova eco in due norme: l’art. 203 TUF, che ai fini dell’applicazione dell’art. 76 legge fall. lo descrive come costo di sostituzione degli strumenti finanziari derivati e di quelli analoghi individuati ai sensi dell’art. 18, comma 5, lettera a) stesso TUF e delle operazioni a termine su valute nonché delle operazioni di prestito titoli, di pronti contro termine e di riporto; e l’art. 2427-bis, comma 1, n. 1 c.c., in base al quale nella nota integrativa del bilancio deve essere indicato per ciascuna categoria di strumenti finanziari derivati il fair value, ossia il relativo prezzo di scambio in una transazione tra terzi indipendenti.
Dunque, il costo di sostituzione degli strumenti finanziari (derivati ed equiparati) non è un vero e proprio prezzo di mercato concreta ed attuale, ma una grandezza monetaria teorica che è calcolata per l’ipotesi in cui il contratto cessi prima della sua scadenza naturale. Essa tiene conto anche di fattori ulteriori, quali, ad esempio, i costi da sostenere, la maggiore o minore volatilità del prodotto e l’ up-front, vale a dire “l’eventuale flusso di cassa dal portafoglio finanziario strutturato che viene regolato al momento della conclusione dell’operazione in derivati” [così lo definisce 1’ art. 1, comma 3, lett. i) del Regolamento concernente i contratti relativi agli strumenti finanziari derivati sottoscritti da regioni ed enti locali, ai sensi dell’articolo 62, comma 3, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, cosi come modificato e integrato dall’articolo 3, comma 1, della legge 22 dicembre 2008, n. 203].
Calcolare il mark to market (non di un singolo contratto, ma) di un intero portafoglio di derivati richiede l’impiego di modelli matematico-finanziari di attualizzazione, in una con l’adozione di scelte metodologiche che scontano un inevitabile tasso di opinabilità tecnica. Non pare seriamente dubitabile, dunque, che un giudizio al riguardo non possa essere assoggettato all’alternativa secca tra vero e falso, ma sia l’espressione di un apprezzamento personale di tipo valutativo derivante dal metodo di calcolo utilizzato.
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Per eventuali spunti bibliografici, a far data dal 2001 e senza alcuna pretesa di esaustività, vedasi il link MARK TO MARKET , tratto da www.iusimpresa.com - Osservatorio bibliografico del Diritto dell'economia.