La Cassazione precisa il riparto degli oneri probatori nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento.
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Provvedimento:
Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-08-2016, n. 17138
"Questa Corte, in punto di riparto dell'onere probatorio, in controversie come quella in esame, soffermandosi sul significato dell'art. 23 Tuf, secondo cui, nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta, ha affermato che: "In materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorchè risulti necessario accertare la responsabilità contrattuale per danni subiti dall'investitore, va accertato se l'intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonchè, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, (T.U.F.) e prima ancora dal D.Lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonchè dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell'onere della prova: l'investitore deve allegare l'inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell'intermediario, nonchè fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l'inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l'intermediario, a sua volta, deve provare l'avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito "con la specifica diligenza richiesta" (Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773).
Orbene non v'è dubbio, alla luce del principio così formulato, che, una volta dedotto l'inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l'intermediario finanziario è tenuto (con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell'onere probatorio di avere esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all'inadempimento così come dedotto), grava altresì sul cliente investitore l'onere della prova del nesso di causalità tra l'inadempimento e il danno: onere della prova la cui osservanza, versandosi in ipotesi di causalità omissiva, va scrutinata, in ossequio alla regola del "più probabile che non" (ex multis Cass. 22 ottobre 2013, n. 23933; Cass. 21 luglio 2011, n. 15991), attraverso l'impiego del giudizio controfattuale (p. es. Cass. 14 febbraio 2012, n. 2085; Cass. 19 novembre 2004, n. 21894) e, cioè, collocando ipoteticamente in luogo della condotta omessa quella legalmente dovuta, sì da accertare, secondo un giudizio necessariamente probabilistico condotto sul modello della prognosi postuma, se, ove adeguatamente informato, l'investitore avrebbe desistito dall'investimento rivelatosi poi pregiudizievole. Tale giudizio per sua natura non si presta alla prova diretta, ma solo a quella presuntiva, occorrendo desumere (nel rispetto del paradigma di gravità, precisione e concordanza previsto dall'art. 2729 c.c.) dai fatti certi emersi in sede istruttoria se l'investitore, ove informato, avrebbe tenuto una condotta, quella consistente nel recedere all'investimento, ormai divenuta nei fatti non più realizzabile".
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